La sura XXIV del corano parla chiaro: “Dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare dei loro ornamenti, se non quello che appare all’esterno; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti”.
Ma a prendere queste parole come consiglio di marketing è stata l’Oreal che lancia come testimonial dei suoi prodotti per la cura dei capelli la blogger Amen Khan, una bella donna col velo.
Capelli sciolti al vento, morbide acconciature, creative tinte e tagli sbarazzini sono da sempre segno di femminilità: bellezza, vanità e seduzione. Tanto è vero che anche in chiave occidentale per non distrarre l’uomo, per “non indurlo in tentazione”, nelle chiese cattoliche pre-concilio le donne portavano il velo (e succede ancora nelle ortodosse). E le suore tagliano la capigliatura e coprono il capo con un velo per consacrarsi a una scelta di vita che vuole lasciarsi dietro le spalle la vanità.
Ma tutto questo proprio non pare conciliarsi con tutte quelle donne che invece volontariamente vogliono più capelli fluenti, più volume, meno doppie punte e meno capelli bianchi e si ritrovano davanti agli scaffali, col carrello tra le mani, a scegliere tra pubblicità col velo. È un paradosso. Anche una donna di credo islamico e che vuole tra le mura domestiche (dove solo le è permesso) sfoggiare al marito la sua chioma deve prima vedere i benefici del suo acquisto, no? Tutt’al più per essere islamico-corretti l’Oreal poteva mettere un’immagine di soli bei capelli tralasciando il volto della donna o il corpo femminile.
L’Oreal e la stessa modella difendono la causa parlando di inclusione, abbattimento degli stereotipi, perché “chi lo dice che una donna col velo non possa curare all’interno i suoi capelli?”.
Ma in effetti perché pensarlo? Solo che la pubblicità ha come fine il pubblicizzare qualcosa. E una pubblicità di capelli nascosti dietro il niqab fa lo stesso effetto di guardare un automobile su un catalogo di biciclette o aver voglia di formaggi ed entrare in pescheria. Diciamo che più che messaggio dell’integrazione appare una semplice trovata pubblicitaria. Non so se gioverà alle musulmane che si sentono isolate dal mercato, di sicuro l’Oreal incassa il gol dell’essere riuscita a far parlare di sé.
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La sura XXIV del corano parla chiaro: “Dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare dei loro ornamenti, se non quello che appare all’esterno; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti”.
Ma a prendere queste parole come consiglio di marketing è stata l’Oreal che lancia come testimonial dei suoi prodotti per la cura dei capelli la blogger Amen Khan, una bella donna col velo.
Capelli sciolti al vento, morbide acconciature, creative tinte e tagli sbarazzini sono da sempre segno di femminilità: bellezza, vanità e seduzione. Tanto è vero che anche in chiave occidentale per non distrarre l’uomo, per “non indurlo in tentazione”, nelle chiese cattoliche pre-concilio le donne portavano il velo (e succede ancora nelle ortodosse). E le suore tagliano la capigliatura e coprono il capo con un velo per consacrarsi a una scelta di vita che vuole lasciarsi dietro le spalle la vanità.
Ma tutto questo proprio non pare conciliarsi con tutte quelle donne che invece volontariamente vogliono più capelli fluenti, più volume, meno doppie punte e meno capelli bianchi e si ritrovano davanti agli scaffali, col carrello tra le mani, a scegliere tra pubblicità col velo. È un paradosso. Anche una donna di credo islamico e che vuole tra le mura domestiche (dove solo le è permesso) sfoggiare al marito la sua chioma deve prima vedere i benefici del suo acquisto, no? Tutt’al più per essere islamico-corretti l’Oreal poteva mettere un’immagine di soli bei capelli tralasciando il volto della donna o il corpo femminile.
L’Oreal e la stessa modella difendono la causa parlando di inclusione, abbattimento degli stereotipi, perché “chi lo dice che una donna col velo non possa curare all’interno i suoi capelli?”.
Ma in effetti perché pensarlo? Solo che la pubblicità ha come fine il pubblicizzare qualcosa. E una pubblicità di capelli nascosti dietro il niqab fa lo stesso effetto di guardare un automobile su un catalogo di biciclette o aver voglia di formaggi ed entrare in pescheria. Diciamo che più che messaggio dell’integrazione appare una semplice trovata pubblicitaria. Non so se gioverà alle musulmane che si sentono isolate dal mercato, di sicuro l’Oreal incassa il gol dell’essere riuscita a far parlare di sé.