Amore e odio, i secoli tra Genova e il mondo “turco” in mostra al Lomellino
Una mostra per festeggiare vent’anni
Palazzo Lomellino compie vent’anni di apertura al pubblico. Ed è il palazzo che con la sua apertura, nel 2004, di fatto, ha inventato i “Rolli days‘: l’evento di turismo d’arte più importante della città. Già, perché, sarà nel 2007 che cominceranno le giornate di apertura dei Palazzi Rolli, patrimonio Unesco.
Festeggia il suo compleanno con una mostra visitabile fino al 26 gennaio 2025 dal titolo “Ottomani, Barbareschi, Mori e altre genti nell’arte a Genova – Fascinazioni, scontri, scambi”.
Più di 50 opere per quattro sale, prestiti dai vicini poli museali, da collezioni private e da importanti musei d’Italia ed esteri.
Il turco è l’Altro
Una mostra per raccontare come nell’arte genovese è rappresentato il “Turco”, perché?
“A partire dal Cinquecento col termine “turco” si indicavano tutti i popoli che abitavano i territori dell’impero ottomano, senza distinzioni”, spiegano i curatori Laura Stagno e Daniele Sanguineti, quindi, “i barbareschi cioè gli abitanti del Maghreb e i Mori, termine che nell’uso storico comprendeva anche gli africani neri. E gli abitanti di questi territori nella cultura figurativa occidentale diventavano l’identificazione dell’alterità, dell’Altro, non solo in relazione al fatto che erano nemici di battaglia ma anche come luogo simbolico in cui convergevano le paure, le aspirazioni, i conflitti della civiltà europea. I turchi diventavano modello per rappresentare anche realtà molto lontane nel tempo e nello spazio”.
Un esempio fra tanti che può chiarire? Raffigurare Pilato “alla turca” – un uomo molto del passato, responsabile di aver condannato Gesù: la divinità dell’Occidente.
Genova da capitale mediterranea è capofila in questa narrazione pittorica. Da una parte è la protagonista dei conflitti con i popoli dell’altra sponda del Mediterraneo e dall’altra è un porto importantissimo: vero bacino di accumulo di manufatti orientali.
Palazzo Lomellino non poteva che essere la sede giusta per parlare di tutto questo, infatti, il suo proprietario del Seicento, Luigi Centurione Scotto, fece realizzare da Bernardo Strozzi proprio degli affreschi dedicati alle realtà lontane.
I temi della mostra: osserviamoli da vicino
Vestiti turchi
È amore e odio. Per un genovese del ‘500 la parola ‘turco’ significa più di ogni altra nemico, guerra. Eppure, significa anche fascino, moda.
Una vera “febbre” tra stoffe, tappeti, ceramiche.
E ovviamente, tutto questo non può che riflettersi in pittura. La prima sala della mostra fa vedere come gli abiti “alla Turca” conquistino le scene bibliche dell’Antico Testamento. “Da una parte si vuole rimarcare il carattere esotico dall’altra ci si misura con la virtuosistica resa di fogge e tessuti”, spiegano i curatori.
Così si può vedere, dalla mano di Grechetto, un Noè col turbante. E i turbanti sono anche sulle teste degli egiziani coinvolti nella saga di Giuseppe, raffigurati da Luca Saltarello.

Ma c’è anche chi in questa sala si fa dipingere alla turca per celebrare una vittoria commerciale. Si tratta dell’accordo tra il sultano e Giovanni Agostino Durazzo, frutto della doppia missione presso la Sublime porta, che garantiva libero transito ai genovesi nei porti ottomani. In mostra di Franz Luyckx von Leuxentem c’è “Giovanni Agostino Durazzo vestito alla turca” e di Giovanni Lorenzo Bertolotto “Giovanni Agostino Durazzo condotto alla presenza del sultano Maometto IV”.

Le guerre coi turchi
Sotto la volta della sala di Palazzo Lomellino, detta della “Navigazione”, i curatori scelgono di affrontare – in sintonia col tema degli affreschi dello Strozzi – le gesta per mare dei genovesi, in gran conflitto con il mondo turco.
Così si celebra Andrea Doria – capitano generale dell’Armata contro il Turco – con uno splendido quadro di pittore ignoto, che raffigura il suo trionfo e il passaggio di consegne all’erede Giovanni Andrea Doria.

La sala è impreziosita da un’opera del Louvre. Si tratta del disegno di Baccio Bandinelli del basamento – mai realizzato – per la la statua di Andrea Doria esposta a Palazzo Ducale, di cui però resta una parte perché distrutta durante i moti giacobini del 1797. Il basamento riprende la conquista di Tunisi del 1535.

Non si può non celebrare la grandiosa battaglia di Lepanto e, all’altezza della vittoria, c’è il quadro capolavoro del Veronese, prestito da Venezia.

La fede di genovesi e turchi
Sempre “en pendant” con gli affreschi: se la volta stabilisce che è la sala della fede, la mostra risponde con la religiosità dei genovesi .
Prova di fede la danno i nobili Giustiniani che non cedono alla conversione islamica nell’isola dell’Egeo di Chio (Scio), controllata dai genovesi.
I Giustiniani scelgono il martirio, ancor più valoroso essendo dei ragazzi, così da diventare testimoni e mito per la città. In mostra tutto questo è rappresentato da Francesco Solimena con un imperdibile prestito da Capodimonte. Il massacro di Scio troverà eco anche nei secoli del Romanticismo, lo dimostrano le tele di Delacroix e di Hayez.

Se si parla di fede, non si può non citare Guglielmo Embriaco, protagonista della conquista di Gerusalemme nel 1099. A lui Lodovico Pogliaghi dedica la scena per la ridecorazione novecentesca della facciata a mare di Palazzo San Giorgio. Nel bozzetto in mostra di Pogliaghi da notare i putti vestiti alla “turca”, pure loro, che alludono al nemico sconfitto dall’eroe crociato.


L’abito turco, però, non solo – come visto finora – è simbolo di esotico, ma diventa anche simbolo dei “cattivi del passato”. Per questo anacronisticamente, Orazio De Ferrari dipinge Pilato alla turca. E Andrea Ansaldo, dipinge il re persiano Assuero che incontra Ester. In mostra dialogano, uno di fronte all’altro, “l’Ecce Homo” in scultura di uno della cerchia di Andrea Torre e in pittura, come detto, di De Ferrari.


La schiavitù
Nell’ultima sala gli affreschi parlano di astronomia: l’ignoto, ciò che va oltre la conoscenza terrena.
E sulle pareti si affronta il tema della schiavitù: l’ignoto, il diverso per usi e costumi. Vista la potenza della Repubblica marinara, a Genova gli schiavi erano tanti.
C’erano gli “schiavi di galea” dediti al remare. Cornelis de Wael racconta la loro vita sulle banchine del porto e si impara che tra gli schiavi c’era una gerarchia, a capo c’era il “papasso” che godeva di una serie di privilegi.
Poi c’erano gli schiavi per i lavori domestici e il paggio moro era un vero “status symbol”, come si vede in “Dama con paggio” di Domenico Parodi.
La mostra si conclude in questa sala con un tributo a Rembrandt. È grazie a lui se i tanti artisti genovesi visti nelle sale precedenti (come Grechetto) dipingono con maestria i costumi alla turca. Sì, perché Rembrandt, con i suoi uomini anziani a mezzo busto (le cosiddette tronie) dai copricapi orientali ha fatto un’eccellente scuola.




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Amore e odio, i secoli tra Genova e il mondo “turco” in mostra al Lomellino
Una mostra per festeggiare vent’anni
Palazzo Lomellino compie vent’anni di apertura al pubblico. Ed è il palazzo che con la sua apertura, nel 2004, di fatto, ha inventato i “Rolli days‘: l’evento di turismo d’arte più importante della città. Già, perché, sarà nel 2007 che cominceranno le giornate di apertura dei Palazzi Rolli, patrimonio Unesco.
Festeggia il suo compleanno con una mostra visitabile fino al 26 gennaio 2025 dal titolo “Ottomani, Barbareschi, Mori e altre genti nell’arte a Genova – Fascinazioni, scontri, scambi”.
Più di 50 opere per quattro sale, prestiti dai vicini poli museali, da collezioni private e da importanti musei d’Italia ed esteri.
Il turco è l’Altro
Una mostra per raccontare come nell’arte genovese è rappresentato il “Turco”, perché?
“A partire dal Cinquecento col termine “turco” si indicavano tutti i popoli che abitavano i territori dell’impero ottomano, senza distinzioni”, spiegano i curatori Laura Stagno e Daniele Sanguineti, quindi, “i barbareschi cioè gli abitanti del Maghreb e i Mori, termine che nell’uso storico comprendeva anche gli africani neri. E gli abitanti di questi territori nella cultura figurativa occidentale diventavano l’identificazione dell’alterità, dell’Altro, non solo in relazione al fatto che erano nemici di battaglia ma anche come luogo simbolico in cui convergevano le paure, le aspirazioni, i conflitti della civiltà europea. I turchi diventavano modello per rappresentare anche realtà molto lontane nel tempo e nello spazio”.
Un esempio fra tanti che può chiarire? Raffigurare Pilato “alla turca” – un uomo molto del passato, responsabile di aver condannato Gesù: la divinità dell’Occidente.
Genova da capitale mediterranea è capofila in questa narrazione pittorica. Da una parte è la protagonista dei conflitti con i popoli dell’altra sponda del Mediterraneo e dall’altra è un porto importantissimo: vero bacino di accumulo di manufatti orientali.
Palazzo Lomellino non poteva che essere la sede giusta per parlare di tutto questo, infatti, il suo proprietario del Seicento, Luigi Centurione Scotto, fece realizzare da Bernardo Strozzi proprio degli affreschi dedicati alle realtà lontane.
I temi della mostra: osserviamoli da vicino
Vestiti turchi
È amore e odio. Per un genovese del ‘500 la parola ‘turco’ significa più di ogni altra nemico, guerra. Eppure, significa anche fascino, moda.
Una vera “febbre” tra stoffe, tappeti, ceramiche.
E ovviamente, tutto questo non può che riflettersi in pittura. La prima sala della mostra fa vedere come gli abiti “alla Turca” conquistino le scene bibliche dell’Antico Testamento. “Da una parte si vuole rimarcare il carattere esotico dall’altra ci si misura con la virtuosistica resa di fogge e tessuti”, spiegano i curatori.
Così si può vedere, dalla mano di Grechetto, un Noè col turbante. E i turbanti sono anche sulle teste degli egiziani coinvolti nella saga di Giuseppe, raffigurati da Luca Saltarello.

Ma c’è anche chi in questa sala si fa dipingere alla turca per celebrare una vittoria commerciale. Si tratta dell’accordo tra il sultano e Giovanni Agostino Durazzo, frutto della doppia missione presso la Sublime porta, che garantiva libero transito ai genovesi nei porti ottomani. In mostra di Franz Luyckx von Leuxentem c’è “Giovanni Agostino Durazzo vestito alla turca” e di Giovanni Lorenzo Bertolotto “Giovanni Agostino Durazzo condotto alla presenza del sultano Maometto IV”.

Le guerre coi turchi
Sotto la volta della sala di Palazzo Lomellino, detta della “Navigazione”, i curatori scelgono di affrontare – in sintonia col tema degli affreschi dello Strozzi – le gesta per mare dei genovesi, in gran conflitto con il mondo turco.
Così si celebra Andrea Doria – capitano generale dell’Armata contro il Turco – con uno splendido quadro di pittore ignoto, che raffigura il suo trionfo e il passaggio di consegne all’erede Giovanni Andrea Doria.

La sala è impreziosita da un’opera del Louvre. Si tratta del disegno di Baccio Bandinelli del basamento – mai realizzato – per la la statua di Andrea Doria esposta a Palazzo Ducale, di cui però resta una parte perché distrutta durante i moti giacobini del 1797. Il basamento riprende la conquista di Tunisi del 1535.

Non si può non celebrare la grandiosa battaglia di Lepanto e, all’altezza della vittoria, c’è il quadro capolavoro del Veronese, prestito da Venezia.

La fede di genovesi e turchi
Sempre “en pendant” con gli affreschi: se la volta stabilisce che è la sala della fede, la mostra risponde con la religiosità dei genovesi .
Prova di fede la danno i nobili Giustiniani che non cedono alla conversione islamica nell’isola dell’Egeo di Chio (Scio), controllata dai genovesi.
I Giustiniani scelgono il martirio, ancor più valoroso essendo dei ragazzi, così da diventare testimoni e mito per la città. In mostra tutto questo è rappresentato da Francesco Solimena con un imperdibile prestito da Capodimonte. Il massacro di Scio troverà eco anche nei secoli del Romanticismo, lo dimostrano le tele di Delacroix e di Hayez.

Se si parla di fede, non si può non citare Guglielmo Embriaco, protagonista della conquista di Gerusalemme nel 1099. A lui Lodovico Pogliaghi dedica la scena per la ridecorazione novecentesca della facciata a mare di Palazzo San Giorgio. Nel bozzetto in mostra di Pogliaghi da notare i putti vestiti alla “turca”, pure loro, che alludono al nemico sconfitto dall’eroe crociato.


L’abito turco, però, non solo – come visto finora – è simbolo di esotico, ma diventa anche simbolo dei “cattivi del passato”. Per questo anacronisticamente, Orazio De Ferrari dipinge Pilato alla turca. E Andrea Ansaldo, dipinge il re persiano Assuero che incontra Ester. In mostra dialogano, uno di fronte all’altro, “l’Ecce Homo” in scultura di uno della cerchia di Andrea Torre e in pittura, come detto, di De Ferrari.


La schiavitù
Nell’ultima sala gli affreschi parlano di astronomia: l’ignoto, ciò che va oltre la conoscenza terrena.
E sulle pareti si affronta il tema della schiavitù: l’ignoto, il diverso per usi e costumi. Vista la potenza della Repubblica marinara, a Genova gli schiavi erano tanti.
C’erano gli “schiavi di galea” dediti al remare. Cornelis de Wael racconta la loro vita sulle banchine del porto e si impara che tra gli schiavi c’era una gerarchia, a capo c’era il “papasso” che godeva di una serie di privilegi.
Poi c’erano gli schiavi per i lavori domestici e il paggio moro era un vero “status symbol”, come si vede in “Dama con paggio” di Domenico Parodi.
La mostra si conclude in questa sala con un tributo a Rembrandt. È grazie a lui se i tanti artisti genovesi visti nelle sale precedenti (come Grechetto) dipingono con maestria i costumi alla turca. Sì, perché Rembrandt, con i suoi uomini anziani a mezzo busto (le cosiddette tronie) dai copricapi orientali ha fatto un’eccellente scuola.




