Mostra di Artemisia Gentileschi a Genova: 5 aspetti da non perdere

La scelta dei curatori di una mostra non ideologica. Artemisia è celebrata perché artista eccezionale non perché donna e vittima

Genova, Mostra di Artemisia – L’intento del curatore Costantino d’Orazio e del comitato scientifico, tra cui ci sono Anna Orlando e Vittorio Sgarbi, è proprio quello di parlare di Artemisia Gentileschi in quanto artista: un’eccezionale artista. Una figura riscoperta soltanto negli ultimi decenni e tra le più grandi rappresentanti dell’eredità di Caravaggio. Quindi, parlare di Artemisia in sé, non perché donna, non perché vittima. Sembrerà allora un controsenso il fatto che la mostra – nelle sue undici sezioni – metta spesso i riflettori sul tema della donna e sul tema dello stupro: invece no, non lo è! La mostra parla della vita di Artemisia e, pertanto, se si tiene dritta la barra del timone verso il suo genio artistico, ci si potrà avventurare in questi aspetti senza strumentalizzarli.

Sarebbe censurare la realtà della sua biografia, se si parlasse di Artemisia senza parlare del fatto che è stata la prima donna alle corti d’Europa e la prima donna accolta in un’accademia di disegno (quella di Firenze). E sarebbe – allo stesso modo – censurare la realtà della sua biografia, se si parlasse di Artemisia e non del suo dramma personale e del modo in cui l’ha affrontato. Ad ogni modo, non c’è nessuna mielosa retorica sull’essere donna. Per dirla come Sgarbi, nella chiosa all’inaugurazione della mostra: “Chi è Artemisia? Artemisia è il mio modello maschile”.

5 aspetti della mostra di Artemisia a Genova da non perdere

1 Il confronto: inizio e fine carriera di Artemisia

Due quadri a confronto. Stessa scena biblica: “Susanna e i vecchioni”. ll primo della Collezione Graf von Schönborn di Pommersfelden (Germania) è del 1610 ed è il suo primo quadro in assoluto. Il secondo della Moravska Galerie di Brno (Repubblica Ceca) è del 1649 ed è un’opera di fine carriera, considerando che quattro anni dopo l’artista morì. È un modo bellissimo, quindi, per vedere l’evoluzione della pittrice: quarant’anni di carriera. Il suo inizio e la sua fine. La scena dell’Antico Testamento ci parla della giovane Susanna. Due anziani vedendola fare il bagno vorrebbero approfittare della sua bellezza, ma Susanna li respinge. Di fronte al rifiuto, i due vorrebbero calunniarla ma il profeta Daniele, interrogando i vecchioni, riuscirà a smascherarli.

Certo, colpisce che ci sia proprio questo tema all’inizio e alla fine della sua storia artistica, vista la sua vicenda personale. Sembra che Susanna sia “la metafora della sua vita”. Un quadro “maledettamente” profetico, il primo. Si nota la faccia di Susanna, fragile, spaventata. Pare di sentire le urla, mentre, con le braccia tremanti in aria, cerca di proteggere se stessa.

È, di tutt’altra specie, un quadro che personifica la donna che è diventata, il secondo. Susanna ha volto ed occhi seri mentre le braccia respingono con forza, con sicurezza i due vecchioni. Da notare anche il cambiamento dei colori. Da quelli tenui, imparati dal padre Orazio, ai chiaroscurali assorbiti da Caravaggio. “Artemisia è più caravaggesca di Caravaggio“, dice Sgarbi.

2 Le prime pittrici della Storia, dimenticate da tutti

Emoziona Artemisia, con la corona d’alloro, che si autoritrae vincitrice nell’allegoria della pittura; opera in prestito, dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Palazzo Barberini di Roma. E sul cavalletto ritrae un uomo: Francesco Maria Maringhi, il famoso aristocratico fiorentino della cerchia dei Frescobaldi, amante della pittrice. Un quadro che mostra il capovolgimento di cui lei è stata promotrice indiscussa.

Artemisia è stata la prima donna pittrice di successo. La sua arte ha conquistato le corti più importanti d’Europa come Firenze, Napoli, Londra. Se, fino ad allora, le pittrici erano perlopiù monache che dipingevano nel convento, il Seicento vede emergere diverse figure femminili assolutamente degne di nota, eppure per nulla conosciute. La seconda sezione della mostra dà spazio a loro. Troviamo Sofonisba Anguissola, pittrice di corte presso il re di Spagna. Oppure Lavinia Fontana, incaricata di dipingere il ritratto ufficiale del papa. C’è Rosalba Carriera che dipinge una fanciulla (o forse se stessa) con in mano una colomba. E ancora, Angelica Kauffmann, la donna che firmerà l’atto di fondazione della Royal Academy of Arts nel 1768, diventando un’autorità assoluta in tutta Europa. Infine, Elisabetta Sirani che per una malattia alle mani smetterà di dipingere ma, grazie al suo successo professionale, verrà ammessa tra i membri dell’Accademia di San Luca sebbene, in quanto donna, non avrà il permesso di assistere alle riunioni.

Mostra Artemisia Genova
Autoritratto in forma di allegoria della Pittura, con un ritratto maschile sul cavalletto (1630-35, Palazzo Barberini, Roma)

3 Prestiti internazionali

Ci sono opere dai musei di tutto il mondo. Non soltanto di Artemisia ma anche del padre, Orazio Gentileschi. Faccio solo alcuni esempi. Di Orazio, dal Museum of Fine Arts di Houston (Texas) c’è “Ritratto di giovane donna come Sibilla”; dal Museo del Prado di Madrid, “San Francesco sostenuto da un angelo”. Dal Museum Vienna, “Salita al calvario”. Dal Vaticano, “Giuditta e l’ancella con la testa di Oloferne”; dal Museo di Capodimonte di Napoli “Annunciazione”.

Di Artemisia, dagli Uffizi, “Madonna con Bambino” e “Minerva”; dalla National Gallery di Londra “Allegoria della scultura”; da Sursock Palace Collection di Beirut (Libano), “Maddalena”.

Mostra Artemisia Genova
Ritratto di giovane donna come Sibilla (1620, Museum of Fine Arts, Houston)

4 Donne minacciate ed eroine

Da una parte, con la quarta sezione, dal titolo “Le donne minacciate di Artemisia”, ci si concentra sul fatto che le donne, in passato come oggi, subiscano ingiustizie e violenze. Cleopatra si suicida dopo la morte di Marco Antonio e con essa muoiono il suo amore e i suoi sogni. Francesca finisce all’inferno assieme a Paolo, nel noto racconto dantesco. Betsabea vede il re Davide architettare la morte di suo marito Uria, pur di prenderla in sposa. Ma, nelle sezioni otto e nove, lo sguardo cambia e si vedono: “Le eroine di Artemisia”. Altro che sesso debole, le “femmes fortes” sono protagoniste di imprese memorabili, sono indipendenti, sicure di sé, sensuali, combattive. Giuditta uccide Oloferne. La Maddalena evangelica è ritratta in dialogo con il divino. Dalila taglia i capelli di Sansone rendendolo vulnerabile.

Mostra Artemisia Genova
Giuditta e Abra con la testa di Olfoerne (1640-45, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni)

5 Lo stupro, l’intento non ideologico

Nonostante non sia mancata qualche critica (amplificata dal megafono dei social network e della stampa che sul tema ci va a nozze, di sti tempi), penso che sia stato giusto parlare dello stupro, proprio perché farlo è riconoscere un dato di realtà. Tale vicenda drammatica segna l’artista e segna la sua arte: dai soggetti che ritrae e dalle espressioni dei volti che le sue donne acquisiscono. In alcune mostre del passato, venivano censurate opere del carnefice Agostino Tassi. La scelta di questa mostra, proprio perché dello stupro non vuole farne una bandiera ideologica, è quella di metterle. Non farlo, sarebbe stato censurare una verità su Tassi: il suo talento “barocco”, la sua abilità nella composizione di paesaggi, la sua maestria nel ritrarre edifici.

Se non ci fosse stato lo stupro, si sarebbero messi senza esitare dei quadri di Agostino Tassi, proprio come nella mostra sono stati inseriti molti quadri del padre. Questo poiché anch’egli faceva parte della rete artistica diretta di Artemisia, lavorando gomito a gomito con lei e con il padre; e allora perché non farlo? Soprattutto quando lei stessa non ha vissuto con vittimismo ma del dolore ne ha saputo fare una forza.

Criticata anche la sala immersiva

E la sala “immersiva”, accusata ingiustamente di “pornografia del dolore”, non è altro che testimonianza di quella forza: le parole dure e coraggiose di Artemisia, pronunciate nel Seicento, sono un vanto e un esempio per oggi. Censurare Tassi sarebbe dire che allora nella vita di Artemisia ha vinto lui. Invece no, Artemisia guarda Tassi in faccia, dritto negli occhi e riesce ad andare avanti. Penso anche che l’aspetto immersivo sia necessario se vogliamo che la mostra sia didattica. La mostra non sarà visitata solo da addetti ai lavori, ed è un approccio di “realismo” farla immersiva. Significa fare i conti con la società in cui viviamo.

Sulla questione del merchanding, invece, sostengo quanti hanno storto il naso, incredulo che davvero si possano comprare magliette o spillette riportanti “No santa, no bitch” oppure la frase di Tassi pronunciata per l’ammissione delle sue colpe.

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Sarebbe censurare la realtà della sua biografia, se si parlasse di Artemisia senza parlare del fatto che è stata la prima donna alle corti d’Europa e la prima donna accolta in un’accademia di disegno (quella di Firenze). E sarebbe – allo stesso modo – censurare la realtà della sua biografia, se si parlasse di Artemisia e non del suo dramma personale e del modo in cui l’ha affrontato. Ad ogni modo, non c’è nessuna mielosa retorica sull’essere donna. Per dirla come Sgarbi, nella chiosa all’inaugurazione della mostra: “Chi è Artemisia? Artemisia è il mio modello maschile”.

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1 Il confronto: inizio e fine carriera di Artemisia

Due quadri a confronto. Stessa scena biblica: “Susanna e i vecchioni”. ll primo della Collezione Graf von Schönborn di Pommersfelden (Germania) è del 1610 ed è il suo primo quadro in assoluto. Il secondo della Moravska Galerie di Brno (Repubblica Ceca) è del 1649 ed è un’opera di fine carriera, considerando che quattro anni dopo l’artista morì. È un modo bellissimo, quindi, per vedere l’evoluzione della pittrice: quarant’anni di carriera. Il suo inizio e la sua fine. La scena dell’Antico Testamento ci parla della giovane Susanna. Due anziani vedendola fare il bagno vorrebbero approfittare della sua bellezza, ma Susanna li respinge. Di fronte al rifiuto, i due vorrebbero calunniarla ma il profeta Daniele, interrogando i vecchioni, riuscirà a smascherarli.

Certo, colpisce che ci sia proprio questo tema all’inizio e alla fine della sua storia artistica, vista la sua vicenda personale. Sembra che Susanna sia “la metafora della sua vita”. Un quadro “maledettamente” profetico, il primo. Si nota la faccia di Susanna, fragile, spaventata. Pare di sentire le urla, mentre, con le braccia tremanti in aria, cerca di proteggere se stessa.

È, di tutt’altra specie, un quadro che personifica la donna che è diventata, il secondo. Susanna ha volto ed occhi seri mentre le braccia respingono con forza, con sicurezza i due vecchioni. Da notare anche il cambiamento dei colori. Da quelli tenui, imparati dal padre Orazio, ai chiaroscurali assorbiti da Caravaggio. “Artemisia è più caravaggesca di Caravaggio“, dice Sgarbi.

2 Le prime pittrici della Storia, dimenticate da tutti

Emoziona Artemisia, con la corona d’alloro, che si autoritrae vincitrice nell’allegoria della pittura; opera in prestito, dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Palazzo Barberini di Roma. E sul cavalletto ritrae un uomo: Francesco Maria Maringhi, il famoso aristocratico fiorentino della cerchia dei Frescobaldi, amante della pittrice. Un quadro che mostra il capovolgimento di cui lei è stata promotrice indiscussa.

Artemisia è stata la prima donna pittrice di successo. La sua arte ha conquistato le corti più importanti d’Europa come Firenze, Napoli, Londra. Se, fino ad allora, le pittrici erano perlopiù monache che dipingevano nel convento, il Seicento vede emergere diverse figure femminili assolutamente degne di nota, eppure per nulla conosciute. La seconda sezione della mostra dà spazio a loro. Troviamo Sofonisba Anguissola, pittrice di corte presso il re di Spagna. Oppure Lavinia Fontana, incaricata di dipingere il ritratto ufficiale del papa. C’è Rosalba Carriera che dipinge una fanciulla (o forse se stessa) con in mano una colomba. E ancora, Angelica Kauffmann, la donna che firmerà l’atto di fondazione della Royal Academy of Arts nel 1768, diventando un’autorità assoluta in tutta Europa. Infine, Elisabetta Sirani che per una malattia alle mani smetterà di dipingere ma, grazie al suo successo professionale, verrà ammessa tra i membri dell’Accademia di San Luca sebbene, in quanto donna, non avrà il permesso di assistere alle riunioni.

Mostra Artemisia Genova
Autoritratto in forma di allegoria della Pittura, con un ritratto maschile sul cavalletto (1630-35, Palazzo Barberini, Roma)

3 Prestiti internazionali

Ci sono opere dai musei di tutto il mondo. Non soltanto di Artemisia ma anche del padre, Orazio Gentileschi. Faccio solo alcuni esempi. Di Orazio, dal Museum of Fine Arts di Houston (Texas) c’è “Ritratto di giovane donna come Sibilla”; dal Museo del Prado di Madrid, “San Francesco sostenuto da un angelo”. Dal Museum Vienna, “Salita al calvario”. Dal Vaticano, “Giuditta e l’ancella con la testa di Oloferne”; dal Museo di Capodimonte di Napoli “Annunciazione”.

Di Artemisia, dagli Uffizi, “Madonna con Bambino” e “Minerva”; dalla National Gallery di Londra “Allegoria della scultura”; da Sursock Palace Collection di Beirut (Libano), “Maddalena”.

Mostra Artemisia Genova
Ritratto di giovane donna come Sibilla (1620, Museum of Fine Arts, Houston)

4 Donne minacciate ed eroine

Da una parte, con la quarta sezione, dal titolo “Le donne minacciate di Artemisia”, ci si concentra sul fatto che le donne, in passato come oggi, subiscano ingiustizie e violenze. Cleopatra si suicida dopo la morte di Marco Antonio e con essa muoiono il suo amore e i suoi sogni. Francesca finisce all’inferno assieme a Paolo, nel noto racconto dantesco. Betsabea vede il re Davide architettare la morte di suo marito Uria, pur di prenderla in sposa. Ma, nelle sezioni otto e nove, lo sguardo cambia e si vedono: “Le eroine di Artemisia”. Altro che sesso debole, le “femmes fortes” sono protagoniste di imprese memorabili, sono indipendenti, sicure di sé, sensuali, combattive. Giuditta uccide Oloferne. La Maddalena evangelica è ritratta in dialogo con il divino. Dalila taglia i capelli di Sansone rendendolo vulnerabile.

Mostra Artemisia Genova
Giuditta e Abra con la testa di Olfoerne (1640-45, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni)

5 Lo stupro, l’intento non ideologico

Nonostante non sia mancata qualche critica (amplificata dal megafono dei social network e della stampa che sul tema ci va a nozze, di sti tempi), penso che sia stato giusto parlare dello stupro, proprio perché farlo è riconoscere un dato di realtà. Tale vicenda drammatica segna l’artista e segna la sua arte: dai soggetti che ritrae e dalle espressioni dei volti che le sue donne acquisiscono. In alcune mostre del passato, venivano censurate opere del carnefice Agostino Tassi. La scelta di questa mostra, proprio perché dello stupro non vuole farne una bandiera ideologica, è quella di metterle. Non farlo, sarebbe stato censurare una verità su Tassi: il suo talento “barocco”, la sua abilità nella composizione di paesaggi, la sua maestria nel ritrarre edifici.

Se non ci fosse stato lo stupro, si sarebbero messi senza esitare dei quadri di Agostino Tassi, proprio come nella mostra sono stati inseriti molti quadri del padre. Questo poiché anch’egli faceva parte della rete artistica diretta di Artemisia, lavorando gomito a gomito con lei e con il padre; e allora perché non farlo? Soprattutto quando lei stessa non ha vissuto con vittimismo ma del dolore ne ha saputo fare una forza.

Criticata anche la sala immersiva

E la sala “immersiva”, accusata ingiustamente di “pornografia del dolore”, non è altro che testimonianza di quella forza: le parole dure e coraggiose di Artemisia, pronunciate nel Seicento, sono un vanto e un esempio per oggi. Censurare Tassi sarebbe dire che allora nella vita di Artemisia ha vinto lui. Invece no, Artemisia guarda Tassi in faccia, dritto negli occhi e riesce ad andare avanti. Penso anche che l’aspetto immersivo sia necessario se vogliamo che la mostra sia didattica. La mostra non sarà visitata solo da addetti ai lavori, ed è un approccio di “realismo” farla immersiva. Significa fare i conti con la società in cui viviamo.

Sulla questione del merchanding, invece, sostengo quanti hanno storto il naso, incredulo che davvero si possano comprare magliette o spillette riportanti “No santa, no bitch” oppure la frase di Tassi pronunciata per l’ammissione delle sue colpe.

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