In piazza San Pietro un popolo dice grazie a Papa Benedetto XVI

Città del Vaticano, 5 gennaio – Alle sei del mattino, con una nebbia densa che ricordava ben altre città, dietro le colonne di San Pietro, la folla ordinata attendeva di entrare. Una Babilonia di lingue – francese, inglese, polacco, tedesco – per poi sedersi in piazza a recitare quasi all’unisono il rosario in latino. Le differenze sparivano per diventare un solo grido di ringraziamento. Da ogni parte del mondo chi è venuto a Roma lo ha fatto perché grato dell’incontro con Papa Benedetto. Anche io avevo da rendergli grazie.

Il mio primo incontro fu con Ratzinger. Incontro casuale. “Ehi ma quello è il celeberrimo Prefetto della congregazione per la dottrina della fede”, urlò il mio curato don Danilo. C’ero solo io. Gli altri miei compagni, lì a Roma, erano a sostituire i bermuda con i pantaloni lunghi, per entrare in S. Pietro. Per me era un cardinale mai visto prima. Iniziò ad avere un volto quando lo vidi alla Via Crucis al posto di Wojtyla. “La Chiesa è una barca in tempesta…la sporcizia”.  Rimasi folgorato dal coraggio nel dire quelle parole, in quel contesto, al Colosseo. Con la croce tra le mani e Wojtyla nelle stanze vaticane.

Poi venne eletto papa. Da tutti acclamato come sommo teologo e lui che si definiva “umile lavoratore nella vigna”. Da tutti visto come pontefice di transizione, all’ombra del gigante e lui come un panzer che scelse come nome Benedetto, prendendo a sberle quell’Europa che si vergognava del monaco che dopo le invasioni barbariche aveva costruito l’Europa; convento per convento, orto per orto, biblioteca per biblioteca… Quel popolo sotto la bandiera blu a stelle si vergognava di inserire in costituzione “le radici giudaico-cristiane”.

Mi incuriosiva il suo linguaggio, “dittatura del relativismo”. Cosa voleva dire? E più lo criticavano e più andavo a cercare il perché.

Il mondo lo accusava di essere bigotto ma io leggendo la “Deus Caritas est” vedevo un papa che parlava di Eros! Un papa che parlava di sesso! E in un modo così profondo, vero, strano.

Il mondo lo vedeva lontano dai giovani ma a Loreto 2007 e Madrid 2011 – c’ero – vedevo un capitano di una nave che in quel mare in tempesta – con le onde della società e le onde delle turbolenze di noi ragazzi – era roccia sicura, approdo. Non ammiccava, non scimmiottava il “nonnino moderno”. Era vero. A Madrid scoppiò un temporale, vento e panico in quella radura dell’aeroporto e lui rimase in ginocchio in adorazione, come se tutto fosse estraneo alla sua preghiera.

Poi a Ratisbona, poi al Collège des Bernardins a Parigi: con la mitezza di chi non ha paura, Benedetto gridava “Ragione e Fede”.  Il suo ritiro l’ho sentito come un abbandono. Perché ritirarsi nel recinto a pregare? Ma come ha detto papa Francesco nell’omelia, lui elargiva “sapienza, delicatezza e dedizione”. 

Ma forse la frase che più mi colpì di lui fu un segnalibro regalatomi in qualche viaggio a Roma: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione, ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato”.  Per me che già allora volevo diventare biologo e che guardavo a Darwin estasiato, fu l’ennesimo colpo di ragione e fede che faceva tenere insieme tutte le cose, tutto il mio io, l’unità di noi stessi, imparerò poi da don Giussani. Per questo ero lì a dire il mio grazie a papa Benedetto, papa magno e chissà se un giorno dottore della Chiesa. È morto nel giorno del Te Deum. Il nostro Te Deum per lui. Dieci anni di ritiro ma nel giorno più rumoroso dell’anno ha conquistato la scena, come credo sarà grande la sua memoria e ricompensa nei cieli.

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Tolo tolo non è un film politico, tutt’al più democristiano

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Il mio primo incontro fu con Ratzinger. Incontro casuale. “Ehi ma quello è il celeberrimo Prefetto della congregazione per la dottrina della fede”, urlò il mio curato don Danilo. C’ero solo io. Gli altri miei compagni, lì a Roma, erano a sostituire i bermuda con i pantaloni lunghi, per entrare in S. Pietro. Per me era un cardinale mai visto prima. Iniziò ad avere un volto quando lo vidi alla Via Crucis al posto di Wojtyla. “La Chiesa è una barca in tempesta…la sporcizia”.  Rimasi folgorato dal coraggio nel dire quelle parole, in quel contesto, al Colosseo. Con la croce tra le mani e Wojtyla nelle stanze vaticane.

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Il mondo lo vedeva lontano dai giovani ma a Loreto 2007 e Madrid 2011 – c’ero – vedevo un capitano di una nave che in quel mare in tempesta – con le onde della società e le onde delle turbolenze di noi ragazzi – era roccia sicura, approdo. Non ammiccava, non scimmiottava il “nonnino moderno”. Era vero. A Madrid scoppiò un temporale, vento e panico in quella radura dell’aeroporto e lui rimase in ginocchio in adorazione, come se tutto fosse estraneo alla sua preghiera.

Poi a Ratisbona, poi al Collège des Bernardins a Parigi: con la mitezza di chi non ha paura, Benedetto gridava “Ragione e Fede”.  Il suo ritiro l’ho sentito come un abbandono. Perché ritirarsi nel recinto a pregare? Ma come ha detto papa Francesco nell’omelia, lui elargiva “sapienza, delicatezza e dedizione”. 

Ma forse la frase che più mi colpì di lui fu un segnalibro regalatomi in qualche viaggio a Roma: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione, ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato”.  Per me che già allora volevo diventare biologo e che guardavo a Darwin estasiato, fu l’ennesimo colpo di ragione e fede che faceva tenere insieme tutte le cose, tutto il mio io, l’unità di noi stessi, imparerò poi da don Giussani. Per questo ero lì a dire il mio grazie a papa Benedetto, papa magno e chissà se un giorno dottore della Chiesa. È morto nel giorno del Te Deum. Il nostro Te Deum per lui. Dieci anni di ritiro ma nel giorno più rumoroso dell’anno ha conquistato la scena, come credo sarà grande la sua memoria e ricompensa nei cieli.

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