Hopper è un pittore di stile realista. Molti suoi contemporanei si dedicano all’astratto, all’informale, lui no. È realista.
È realista ma la realtà che dipinge è piena di mistero. È realista ma la realtà della metropoli americana in cui vive, affollata e tecnologica, non assomiglia a quella delle sue tele con città, case, campagne deserte.
È realista ma i suoi quadri sono “studiati nella sua mente” anche per tutto un anno intero. Frutto della somma di molteplici osservazioni. È realista ma i suoi soggetti non si parlano e guardano mai. Come alienati in scene immobili.
È realista ma così irreale. In questa irrealtà ci sta la grande verità dell’epoca contemporanea. Ed è marcatamente anticipatore. Siamo folla e siamo soli. Siamo iperconnessi e siamo soli. Hopper è il poeta più grande dell’incomunicabilità.
1. A Parigi fa il bravo ragazzo
Come ogni artista dei suoi anni va a Parigi: “La Mecca” per ogni giovane e aspirante pittore. Ma a differenza di tanti altri, là non sceglie nessuna vita in stile bohémien. Nessun Moulin Rouge. Nessun assenzio. Hopper sceglie la vita da bravo ragazzo. I suoi genitori lo spediscono a rue de Lille a Montparnasse. Lì viene ospitato da amici dei genitori, molto religiosi come lo era la sua famiglia. A Parigi, passa le giornate a studiare letteratura francese e la luce “impressionista“. Della Ville lumière rimane molto attratto perché…
La gente si diverte nei caffè, non pensa come a New York solo ai soldi.
E poi la città è tutta armonica: è strutturata architettonicamente per essere bella.

2. Gli inizi da incompreso
Rientrato da Parigi, la sua vita da artista prosegue a Washington square, a New York. Tutti i suoi guadagni provengono dalla vendita di acqueforti e illustrazioni commerciali. Si trattava di un reddito misero. Purtroppo, dai trenta ai quarant’anni – per dieci anni – non vende alcun quadro.
Dal 1913 al 1923 non vende neanche un quadro.

3. Il clown è Hopper
“Troppo europeo, troppo vecchio stile”, così i critici bollarono il quadro “Soir bleu” quando venne esposto nel 1915 al “Mac-Dowell Club di New York”, la sua prima esposizione. Hopper lo riprese con sé e non lo mostrò più. Solo alla sua morte venne ritrovato nel suo studio.
I soggetti? Sono l’ammirazione di Hopper per Picasso, Degas e Toulouse-Lautrec. Il titolo? Beh, un omaggio a Rimbaud e ai poeti maledetti. Un’opera, insomma, tributo alla sua esperienza parigina. C’è una prostituta che torreggia fiera al centro del dipinto. A sinistra, lo sfruttatore. A destra, una coppietta di borghesi. Al centro, insieme al tavolo ci sono un uomo con barba e cappello che a tanti ricorda Manet – uno dei maestri dell’artista- un uomo girato di spalle potrebbe essere un militare in alta uniforme o un domatore del circo e infine, c’è lui: un clown triste, un pierrot. Per molti critici è l’identificazione di Hopper con tutta la sua solitudine e malinconia esistenziale.

4. Affascinato dalle architetture
Nel 1923, a quarantun anni parte alle volta di Gloucester: villaggio di pescatori e di artisti. Lì conosce Nivison Josephine, acquarellista e futura moglie, ma soprattutto sua manager per tutta la vita. Agli scorci del porticciolo di Gloucester, Hopper preferisce le architetture. Resta a guardare ore e ore le palazzine seguendo le linee di abbaini e porte. A Gloucester pian piano diventa “Hopper”. Inizia ad essere notato: i quadri iniziamo a piacere. Prende avvio la sua carriera eccezionale che durerà tutta la vita.
Tutti dipingono navi e mare. Io guardo le case con i gabbiani e le ombre.

5. Contraddizioni
Da una parte racconta il suo tempo. Le donne libere e truccate al bar. Dall’altra no! Negli Stati Uniti d’America delle folle, delle proteste, della musica per strada, dei diritti dei neri, lui continua a disegnare soggetti isolati o strade deserte. È come se vivesse in una bolla. Non gli interessano le rivendicazioni politiche è incastrato nelle architetture e in quel tema così attuale della società: l’incomunicabilità tra le persone.
C’è da dire che non solo dentro di sé c’è contraddizione, anche la New York dei primi del ‘900 è essa stessa contraddizione: da una parte la Grande depressione, dall’altra un fiorire di alte costruzioni, come il nascente Empire state building.
C’è anche un’altra sua straordinaria capacità che può apparire come contraddizione o paradosso. Se prendiamo il quadro “Domenica mattino presto”, sono dipinte solo delle case (con a destra un ipotetico grattacielo) eppure nessuno potrebbe non avvertire una forte, calorosa presenza umana.

6. Passione cinema
Il cinema conquista Hopper ma viceversa i quadri di Hopper conquistano il cinema. Il pittore del silenzio, dell’attesa e delle case isolate non può che diventare fonte ispiratrice per Hitchcock, il maestro della suspense.
Quando non mi sento in vena di dipingere vado al cinema per una settimana o più.

7. Enigma
Prendi un quadro di Hopper e nella tua mente si innesca l’enigma. Non sono enigmatici i soggetti: sono solo due o un gruppo di persone. Non è enigmatico il posto: è solo un bar, una strada, una stanza. Ma tutto quel non guardarsi, quel non stringersi mani, sfiorarsi, toccarsi è l’enigma. Nasce martellante la domanda:
Ma cosa diamine sta succedendo?

8. Come figli
I quadri sono come dei figli e con chi li acquista si diventa come un po’ parenti.

9. La risposta
La risposta è lì nella tela. Se si potesse dire a parole non ci sarebbe il bisogno di dipingere.

10. Ricerca di sé
Una stanza vuota? Oppure una stanza piena di sole? Una stanza che nella sua semplicità concreta: una finestra, una parete, appare come il massimo dell’astrattismo.
Mi chiedono cosa cerco in questo quadro? Cerco me stesso.

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Hopper è un pittore di stile realista. Molti suoi contemporanei si dedicano all’astratto, all’informale, lui no. È realista.
È realista ma la realtà che dipinge è piena di mistero. È realista ma la realtà della metropoli americana in cui vive, affollata e tecnologica, non assomiglia a quella delle sue tele con città, case, campagne deserte.
È realista ma i suoi quadri sono “studiati nella sua mente” anche per tutto un anno intero. Frutto della somma di molteplici osservazioni. È realista ma i suoi soggetti non si parlano e guardano mai. Come alienati in scene immobili.
È realista ma così irreale. In questa irrealtà ci sta la grande verità dell’epoca contemporanea. Ed è marcatamente anticipatore. Siamo folla e siamo soli. Siamo iperconnessi e siamo soli. Hopper è il poeta più grande dell’incomunicabilità.
1. A Parigi fa il bravo ragazzo
Come ogni artista dei suoi anni va a Parigi: “La Mecca” per ogni giovane e aspirante pittore. Ma a differenza di tanti altri, là non sceglie nessuna vita in stile bohémien. Nessun Moulin Rouge. Nessun assenzio. Hopper sceglie la vita da bravo ragazzo. I suoi genitori lo spediscono a rue de Lille a Montparnasse. Lì viene ospitato da amici dei genitori, molto religiosi come lo era la sua famiglia. A Parigi, passa le giornate a studiare letteratura francese e la luce “impressionista“. Della Ville lumière rimane molto attratto perché…
La gente si diverte nei caffè, non pensa come a New York solo ai soldi.
E poi la città è tutta armonica: è strutturata architettonicamente per essere bella.

2. Gli inizi da incompreso
Rientrato da Parigi, la sua vita da artista prosegue a Washington square, a New York. Tutti i suoi guadagni provengono dalla vendita di acqueforti e illustrazioni commerciali. Si trattava di un reddito misero. Purtroppo, dai trenta ai quarant’anni – per dieci anni – non vende alcun quadro.
Dal 1913 al 1923 non vende neanche un quadro.

3. Il clown è Hopper
“Troppo europeo, troppo vecchio stile”, così i critici bollarono il quadro “Soir bleu” quando venne esposto nel 1915 al “Mac-Dowell Club di New York”, la sua prima esposizione. Hopper lo riprese con sé e non lo mostrò più. Solo alla sua morte venne ritrovato nel suo studio.
I soggetti? Sono l’ammirazione di Hopper per Picasso, Degas e Toulouse-Lautrec. Il titolo? Beh, un omaggio a Rimbaud e ai poeti maledetti. Un’opera, insomma, tributo alla sua esperienza parigina. C’è una prostituta che torreggia fiera al centro del dipinto. A sinistra, lo sfruttatore. A destra, una coppietta di borghesi. Al centro, insieme al tavolo ci sono un uomo con barba e cappello che a tanti ricorda Manet – uno dei maestri dell’artista- un uomo girato di spalle potrebbe essere un militare in alta uniforme o un domatore del circo e infine, c’è lui: un clown triste, un pierrot. Per molti critici è l’identificazione di Hopper con tutta la sua solitudine e malinconia esistenziale.

4. Affascinato dalle architetture
Nel 1923, a quarantun anni parte alle volta di Gloucester: villaggio di pescatori e di artisti. Lì conosce Nivison Josephine, acquarellista e futura moglie, ma soprattutto sua manager per tutta la vita. Agli scorci del porticciolo di Gloucester, Hopper preferisce le architetture. Resta a guardare ore e ore le palazzine seguendo le linee di abbaini e porte. A Gloucester pian piano diventa “Hopper”. Inizia ad essere notato: i quadri iniziamo a piacere. Prende avvio la sua carriera eccezionale che durerà tutta la vita.
Tutti dipingono navi e mare. Io guardo le case con i gabbiani e le ombre.

5. Contraddizioni
Da una parte racconta il suo tempo. Le donne libere e truccate al bar. Dall’altra no! Negli Stati Uniti d’America delle folle, delle proteste, della musica per strada, dei diritti dei neri, lui continua a disegnare soggetti isolati o strade deserte. È come se vivesse in una bolla. Non gli interessano le rivendicazioni politiche è incastrato nelle architetture e in quel tema così attuale della società: l’incomunicabilità tra le persone.
C’è da dire che non solo dentro di sé c’è contraddizione, anche la New York dei primi del ‘900 è essa stessa contraddizione: da una parte la Grande depressione, dall’altra un fiorire di alte costruzioni, come il nascente Empire state building.
C’è anche un’altra sua straordinaria capacità che può apparire come contraddizione o paradosso. Se prendiamo il quadro “Domenica mattino presto”, sono dipinte solo delle case (con a destra un ipotetico grattacielo) eppure nessuno potrebbe non avvertire una forte, calorosa presenza umana.

6. Passione cinema
Il cinema conquista Hopper ma viceversa i quadri di Hopper conquistano il cinema. Il pittore del silenzio, dell’attesa e delle case isolate non può che diventare fonte ispiratrice per Hitchcock, il maestro della suspense.
Quando non mi sento in vena di dipingere vado al cinema per una settimana o più.

7. Enigma
Prendi un quadro di Hopper e nella tua mente si innesca l’enigma. Non sono enigmatici i soggetti: sono solo due o un gruppo di persone. Non è enigmatico il posto: è solo un bar, una strada, una stanza. Ma tutto quel non guardarsi, quel non stringersi mani, sfiorarsi, toccarsi è l’enigma. Nasce martellante la domanda:
Ma cosa diamine sta succedendo?

8. Come figli
I quadri sono come dei figli e con chi li acquista si diventa come un po’ parenti.

9. La risposta
La risposta è lì nella tela. Se si potesse dire a parole non ci sarebbe il bisogno di dipingere.

10. Ricerca di sé
Una stanza vuota? Oppure una stanza piena di sole? Una stanza che nella sua semplicità concreta: una finestra, una parete, appare come il massimo dell’astrattismo.
Mi chiedono cosa cerco in questo quadro? Cerco me stesso.
