Da Milano, la città della moda e della bellezza estetica, Ferlazzo dipinge quelle figure umane sempre in posa e ossessionate dall’eterna giovinezza. “Racconto semplicemente quello che vedo”.
Le figure umane sono sempre protagoniste, vuoi che siano in atmosfere che ricordano Hopper per quel velo di malinconia o incomunicabilità, vuoi che siano spiccatamente sensuali e provocanti, mettendo in evidenza parti nude e dettagli di abbigliamento femminile. Gianfranco Ferlazzo, nato e cresciuto a Milano, disegna da sempre.
“I miei primi disegni, se la memoria non mi inganna – e appoggiandomi a quella dei miei genitori – risalgono all’età di cinque anni. Disegni su quadernetti a quadretti. A nove anni, dopo aver visto ‘Star Wars’ ho fatto la trasposizione a fumetti del film, scena per scena. Ho cominciato fin da piccolo a creare forme perché qualcosa di inarrestabile mi spingeva a farlo, un impulso che in qualche modo era difficile controllare“.
Impulso che non poteva che sfociare in una formazione artistica: Liceo Artistico, prima e Accademia di Belle Arti di Brera, poi.

Ferlazzo: “Il mondo in una scatola”
La carriera di pittore comincia subito, da appena diplomato. Oggi Ferlazzo vanta diverse esposizioni in gallerie e fiere d’arte nazionali ed internazionali, con mostre collettive e personali. L’ultima mostra risale a giugno 2024, alla Fondazione Brugnatelli di Milano dove è stato alle prese con la personale “The world in a box”. Il titolo riprende il nome del suo ambizioso progetto che lo vede impegnato da circa quattro anni e che consta ad oggi più di 300 pezzi ed è ancora in corso!
L’arte uno specchio crudele e spietato
Per Ferlazzo l’arte ha tanti scopi: “É una forma che va a disossare fino all’essenziale, è una comunicazione a vari livelli di lettura, è una stratificazione di senso e di emozioni”. E parlando della parola emozione, l’artista specifica: “Intendo nell’accezione più complessa e piena, l’emozione, infatti, può essere anche inquietante, ma non per questo meno interessante. L’arte deve riuscire a coprire ogni sfumatura dello scibile umano, costituire la totalità del nostro “essere al mondo”. Essere lo specchio dove riconoscersi, anche uno specchio crudele, spietato, tuttavia che dice la verità rivelando chi sei, senza sconti”.

L’arte memoria della civiltà
“Io faccio un genere figurativo, sono legato all’immaginario più contingente, quello che ci rappresenta. Se nel caso una civiltà aliena approdasse sul nostro pianeta fra duemila anni e la Terra fosse – disgraziatamente per via di un cataclisma – solo una terra desolata e se questi alieni trovassero sepolti manufatti della nostra estinta civiltà e questi manufatti fossero delle opere artistiche sarebbe bene che queste opere, in qualche modo, rispecchiassero la civiltà che si è estinta? Giusto? Questo secondo me è un altro compito dell’arte ed è quello che nel mio piccolo cerco di fare io”.
Perenne bellezza, testimonianza e denuncia
Ma guardando le immagini di Ferlazzo verrebbe da chiedersi, cosa gli alieni percepirebbero di questa società? Le figure sembrano in posa, come modelle in attesa di uno shooting. I corpi sono sempre magri, smaglianti: non sembra esserci una rappresentazione generale della società.
Il pittore, difatti, esaspera questo tema della bellezza e della sensualità per arrivare anche ad una forma di denuncia: “La nostra civiltà è ossessionata dalla bellezza, che è caduca, è destinata a sparire: in fondo in questo c’è insita forse la paura della morte che sta in sottotraccia e si cerca di rimuovere. Nelle civiltà antiche il culto della morte era rappresentato e celebrato, c’era una sorta di “convivenza” con l’idea della fine. Penso alle civiltà precolombiane o agli etruschi. Nei tempi moderni, invece, si vuole “congelare” la bellezza, renderla perpetua e ciò è impossibile. Io sono nato a Milano, che è la capitale per antonomasia del fashion. Il mio lavoro è semplicemente quello di raccontare ciò che mi sta attorno. È vero che dipingo “la bellezza” ma – se si nota bene – è spesso una bellezza malinconica, inquietante piena di connotazioni surreali ed oniriche. La pubblicità, gli spot televisivi, i magazine di moda, i centri estetici trasmettono questo diktat quasi fosse una ideologia e le ultime generazioni sono quelle più colpite da questo. Nei miei lavori rappresento per il novantacinque per cento persone giovani, belle, per la maggior parte di sesso femminile in pose codificate o in situazioni oniriche imprecisate. Metto in risalto il corpo o il volto e in quella superficie metto in risalto l’inganno di una società che si crede immortale“.

Ferlazzo: “I quadri sono come figli“
Come per tanti pittori anche Ferlazzo fa fatica a scegliere un suo quadro preferito perché “sono davvero come figli e si amano tutti”. Ma aggiunge: “Forse l’ultimo è sempre più coccolato e curato d’attenzioni. Inoltre ho anche delle preferenze che cambiano a seconda dell’umore e della sensibilità del momento”.

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Da Milano, la città della moda e della bellezza estetica, Ferlazzo dipinge quelle figure umane sempre in posa e ossessionate dall’eterna giovinezza. “Racconto semplicemente quello che vedo”.
Le figure umane sono sempre protagoniste, vuoi che siano in atmosfere che ricordano Hopper per quel velo di malinconia o incomunicabilità, vuoi che siano spiccatamente sensuali e provocanti, mettendo in evidenza parti nude e dettagli di abbigliamento femminile. Gianfranco Ferlazzo, nato e cresciuto a Milano, disegna da sempre.
“I miei primi disegni, se la memoria non mi inganna – e appoggiandomi a quella dei miei genitori – risalgono all’età di cinque anni. Disegni su quadernetti a quadretti. A nove anni, dopo aver visto ‘Star Wars’ ho fatto la trasposizione a fumetti del film, scena per scena. Ho cominciato fin da piccolo a creare forme perché qualcosa di inarrestabile mi spingeva a farlo, un impulso che in qualche modo era difficile controllare“.
Impulso che non poteva che sfociare in una formazione artistica: Liceo Artistico, prima e Accademia di Belle Arti di Brera, poi.

Ferlazzo: “Il mondo in una scatola”
La carriera di pittore comincia subito, da appena diplomato. Oggi Ferlazzo vanta diverse esposizioni in gallerie e fiere d’arte nazionali ed internazionali, con mostre collettive e personali. L’ultima mostra risale a giugno 2024, alla Fondazione Brugnatelli di Milano dove è stato alle prese con la personale “The world in a box”. Il titolo riprende il nome del suo ambizioso progetto che lo vede impegnato da circa quattro anni e che consta ad oggi più di 300 pezzi ed è ancora in corso!
L’arte uno specchio crudele e spietato
Per Ferlazzo l’arte ha tanti scopi: “É una forma che va a disossare fino all’essenziale, è una comunicazione a vari livelli di lettura, è una stratificazione di senso e di emozioni”. E parlando della parola emozione, l’artista specifica: “Intendo nell’accezione più complessa e piena, l’emozione, infatti, può essere anche inquietante, ma non per questo meno interessante. L’arte deve riuscire a coprire ogni sfumatura dello scibile umano, costituire la totalità del nostro “essere al mondo”. Essere lo specchio dove riconoscersi, anche uno specchio crudele, spietato, tuttavia che dice la verità rivelando chi sei, senza sconti”.

L’arte memoria della civiltà
“Io faccio un genere figurativo, sono legato all’immaginario più contingente, quello che ci rappresenta. Se nel caso una civiltà aliena approdasse sul nostro pianeta fra duemila anni e la Terra fosse – disgraziatamente per via di un cataclisma – solo una terra desolata e se questi alieni trovassero sepolti manufatti della nostra estinta civiltà e questi manufatti fossero delle opere artistiche sarebbe bene che queste opere, in qualche modo, rispecchiassero la civiltà che si è estinta? Giusto? Questo secondo me è un altro compito dell’arte ed è quello che nel mio piccolo cerco di fare io”.
Perenne bellezza, testimonianza e denuncia
Ma guardando le immagini di Ferlazzo verrebbe da chiedersi, cosa gli alieni percepirebbero di questa società? Le figure sembrano in posa, come modelle in attesa di uno shooting. I corpi sono sempre magri, smaglianti: non sembra esserci una rappresentazione generale della società.
Il pittore, difatti, esaspera questo tema della bellezza e della sensualità per arrivare anche ad una forma di denuncia: “La nostra civiltà è ossessionata dalla bellezza, che è caduca, è destinata a sparire: in fondo in questo c’è insita forse la paura della morte che sta in sottotraccia e si cerca di rimuovere. Nelle civiltà antiche il culto della morte era rappresentato e celebrato, c’era una sorta di “convivenza” con l’idea della fine. Penso alle civiltà precolombiane o agli etruschi. Nei tempi moderni, invece, si vuole “congelare” la bellezza, renderla perpetua e ciò è impossibile. Io sono nato a Milano, che è la capitale per antonomasia del fashion. Il mio lavoro è semplicemente quello di raccontare ciò che mi sta attorno. È vero che dipingo “la bellezza” ma – se si nota bene – è spesso una bellezza malinconica, inquietante piena di connotazioni surreali ed oniriche. La pubblicità, gli spot televisivi, i magazine di moda, i centri estetici trasmettono questo diktat quasi fosse una ideologia e le ultime generazioni sono quelle più colpite da questo. Nei miei lavori rappresento per il novantacinque per cento persone giovani, belle, per la maggior parte di sesso femminile in pose codificate o in situazioni oniriche imprecisate. Metto in risalto il corpo o il volto e in quella superficie metto in risalto l’inganno di una società che si crede immortale“.

Ferlazzo: “I quadri sono come figli“
Come per tanti pittori anche Ferlazzo fa fatica a scegliere un suo quadro preferito perché “sono davvero come figli e si amano tutti”. Ma aggiunge: “Forse l’ultimo è sempre più coccolato e curato d’attenzioni. Inoltre ho anche delle preferenze che cambiano a seconda dell’umore e della sensibilità del momento”.
