Dieci curiosità sul pittore padovano che ha conquistato le corti dei Signori facendo rivivere l’arte classica
1. Il tempio entra in chiesa
Capolavoro indiscusso è il “Trittico di San Zeno“, invece della composizione tradizionale tripartita – per l’appunto che contraddistingue un trittico – Mantegna compie una straordinaria invenzione: dipinge un’unica scena in tre spazi, servendosi delle colonne classicheggianti non come dei banali divisori ma come parte integrante della sua opera. Il suo Trittico con colonne, architrave e timpano ci racconta di quanto Mantegna sia un “pittore architetto” e per la prima volta nella storia della pittura il tempio entra in una chiesa e con esso tutto la novità del Rinascimento. Nella pala d’altare c’è la lezione di Donatello con gli angeli musicanti; ci sono Tura, Crivelli e Zoppo nella ghirlanda pendula e c’è tutto se stesso con la sua approfondita passione del mondo classico, ad esempio, nelle scene presentate nei medaglioni delle colonne e, come sempre, nelle sue figure dipinte come fossero sculture greco-romane. Mantegna era un grande esperto di archeologia e collezionista di reperti romani (stele, iscrizioni..). È il primo artista italiano a dipingere con l’intenzione di imitare l’arte classica, spesso le sue citazioni archeologiche sono documentate, non inventate. Di sicuro a dare linfa alla sua cultura c’è la sua città: l’Università di Padova, sede tra le più antiche d’Europa era centro di studio per l’archeologia, l’epigrafia e la numismatica.

2. Il Donatello citato
In “San Giacomo condotto al martirio“, affresco della cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova, Mantegna nel soldato appoggiato allo scudo richiama il san Giorgio di Donatello. L’artista fiorentino giunto a Padova nel 1443 aveva affascinato i pittori padovani che definivano “pingere in recenti“, quelle lezioni cariche di novità rinascimentale.

3. Record di prospettiva e illusionismo
Toglie il fiato l'”Oculo” di 2,7 metri di diametro che decora la “Camera degli Sposi” al Castello di san Giorgio di Mantova. Mantegna dipinge oltre il soffitto, facendoci volare nei cieli tra putti con ali di farfalla, un pavone e fanciulle che dal soffitto scrutano il suolo; si tratta dell’affresco con la prospettiva dal basso più complessa mai eseguita prima. E non solo, si tratta anche di uno dei primi spazi nella storia dell’arte ad essere interamente dipinti illusionisticamente.

4. Lettera misteriosa
Tra i misteri della “Camera degli sposi” c’è una lettera. Il segretario la consegna nelle mani di Ludovico Gonzaga e secondo gli studiosi molto probabilmente la missiva ci riporta all’anno 1461 quando il marchese, informato della cattiva salute di Francesco Sforza, partì verso Milano.
Interessante è il percorso visivo che ci fa fare Mantegna: lo sguardo è dapprima attirato verso i solenni e statici Gonzaga. Poi, per spostarci verso destra, il pittore mette i cortigiani in movimento così da attirare la nostra attenzione, in un perfetto gioco di peso e contrappeso. Ciò che unisce i personaggi da una parte all’altra- Gonzaga e cortigiani – è la “linea” dei cappelli rossi che tutti indossano.

5. L’autoritratto criptato
Sempre nella Camera degli Sposi c’è un altro segreto: osservando bene uno dei pilastri, all’interno di una decorazione floreale, su sfondo oro, ecco apparire un “cripto-ritratto” che per molti considerato come l’autoritratto di Mantegna.

6. Il Cristo morto
Con l’artificio prospettico detto “scorcio” in cui le linee di fuga partono dai piedi in primo piano, Mantegna ci regala il “Cristo Morto” più coinvolgente della storia: non c’è pietismo ma realtà.
C’è l’orrore di un corpo straziato, le ferite dei chiodi e le lacrime dei presenti – Maria, Giovanni e Maria Maddalena – la cui deformazione espressiva ricalca le maschere della tragedia antica. Qui a Mantegna non interessano i colori morbidi che si stanno diffondendo in Veneto perché deve dipingere la morte: fredda e spietata. L’esito prospettico è così raggiunto che da qualunque punto ci si sposti il Cristo lo si ha sempre dinnanzi: ci si ritrova sempre al suo capezzale.

7. La Pietra dell’Unzione
Se diciamo Mantegna diciamo “Cristo morto”, ma non tutti forse sapranno che la lastra su cui è deposto Gesù è detta “La pietra dell’unzione” e secondo l’uso ebraico, prima della sepoltura, il corpo andava unto con oli e balsami. Probabilmente l’artista la dipinge ispirato dal fatto che in quegli anni in cui risiedeva dai Gonzaga si attendeva con ansia che da Costantinopoli la reliquia giungesse a Mantova. La tradizione vuole che le venature bianche sulla pietra rossa siano dovute alle lacrime della Madonna. Accanto al cuscino si nota il vasetto degli oli.

8. Proust: colombe e serpenti
Proust amava molto Mantegna. Visitando il Louvre aveva modo di osservare diversi suoi capolavori, come il San Sebastiano. In riferimento alla capigliatura dei suoi personaggi, Proust diceva: “Ha l’ aria insieme di una nidiata di colombe, di una fascia di giacinti e di una treccia di serpenti”.

9. La statua in “giallo”: di chi è?
È di Mantegna? Secondo molti storici la risposta è sì. Nella concattedrale di Santa Maria Assunta ad Irsina, provincia di Matera, giace una scultura di Sant’Eufemia attribuita a Pietro Lombardo o ad Andrea Mantegna… le indagini proseguono.

Dürer, “grande fan”
Amava l’Italia e amava il genio padovano. Il tedesco Albrecht Dürer, nel suo secondo soggiorno italiano, a Venezia, viene a conoscenza della morte di Mantegna dalle cui opere ebbe profonda ispirazione tanto da affermare: “È il più grande dolore della mia vita non averlo conosciuto”.

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Dieci curiosità sul pittore padovano che ha conquistato le corti dei Signori facendo rivivere l’arte classica
1. Il tempio entra in chiesa
Capolavoro indiscusso è il “Trittico di San Zeno“, invece della composizione tradizionale tripartita – per l’appunto che contraddistingue un trittico – Mantegna compie una straordinaria invenzione: dipinge un’unica scena in tre spazi, servendosi delle colonne classicheggianti non come dei banali divisori ma come parte integrante della sua opera. Il suo Trittico con colonne, architrave e timpano ci racconta di quanto Mantegna sia un “pittore architetto” e per la prima volta nella storia della pittura il tempio entra in una chiesa e con esso tutto la novità del Rinascimento. Nella pala d’altare c’è la lezione di Donatello con gli angeli musicanti; ci sono Tura, Crivelli e Zoppo nella ghirlanda pendula e c’è tutto se stesso con la sua approfondita passione del mondo classico, ad esempio, nelle scene presentate nei medaglioni delle colonne e, come sempre, nelle sue figure dipinte come fossero sculture greco-romane. Mantegna era un grande esperto di archeologia e collezionista di reperti romani (stele, iscrizioni..). È il primo artista italiano a dipingere con l’intenzione di imitare l’arte classica, spesso le sue citazioni archeologiche sono documentate, non inventate. Di sicuro a dare linfa alla sua cultura c’è la sua città: l’Università di Padova, sede tra le più antiche d’Europa era centro di studio per l’archeologia, l’epigrafia e la numismatica.

2. Il Donatello citato
In “San Giacomo condotto al martirio“, affresco della cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova, Mantegna nel soldato appoggiato allo scudo richiama il san Giorgio di Donatello. L’artista fiorentino giunto a Padova nel 1443 aveva affascinato i pittori padovani che definivano “pingere in recenti“, quelle lezioni cariche di novità rinascimentale.

3. Record di prospettiva e illusionismo
Toglie il fiato l'”Oculo” di 2,7 metri di diametro che decora la “Camera degli Sposi” al Castello di san Giorgio di Mantova. Mantegna dipinge oltre il soffitto, facendoci volare nei cieli tra putti con ali di farfalla, un pavone e fanciulle che dal soffitto scrutano il suolo; si tratta dell’affresco con la prospettiva dal basso più complessa mai eseguita prima. E non solo, si tratta anche di uno dei primi spazi nella storia dell’arte ad essere interamente dipinti illusionisticamente.

4. Lettera misteriosa
Tra i misteri della “Camera degli sposi” c’è una lettera. Il segretario la consegna nelle mani di Ludovico Gonzaga e secondo gli studiosi molto probabilmente la missiva ci riporta all’anno 1461 quando il marchese, informato della cattiva salute di Francesco Sforza, partì verso Milano.
Interessante è il percorso visivo che ci fa fare Mantegna: lo sguardo è dapprima attirato verso i solenni e statici Gonzaga. Poi, per spostarci verso destra, il pittore mette i cortigiani in movimento così da attirare la nostra attenzione, in un perfetto gioco di peso e contrappeso. Ciò che unisce i personaggi da una parte all’altra- Gonzaga e cortigiani – è la “linea” dei cappelli rossi che tutti indossano.

5. L’autoritratto criptato
Sempre nella Camera degli Sposi c’è un altro segreto: osservando bene uno dei pilastri, all’interno di una decorazione floreale, su sfondo oro, ecco apparire un “cripto-ritratto” che per molti considerato come l’autoritratto di Mantegna.

6. Il Cristo morto
Con l’artificio prospettico detto “scorcio” in cui le linee di fuga partono dai piedi in primo piano, Mantegna ci regala il “Cristo Morto” più coinvolgente della storia: non c’è pietismo ma realtà.
C’è l’orrore di un corpo straziato, le ferite dei chiodi e le lacrime dei presenti – Maria, Giovanni e Maria Maddalena – la cui deformazione espressiva ricalca le maschere della tragedia antica. Qui a Mantegna non interessano i colori morbidi che si stanno diffondendo in Veneto perché deve dipingere la morte: fredda e spietata. L’esito prospettico è così raggiunto che da qualunque punto ci si sposti il Cristo lo si ha sempre dinnanzi: ci si ritrova sempre al suo capezzale.

7. La Pietra dell’Unzione
Se diciamo Mantegna diciamo “Cristo morto”, ma non tutti forse sapranno che la lastra su cui è deposto Gesù è detta “La pietra dell’unzione” e secondo l’uso ebraico, prima della sepoltura, il corpo andava unto con oli e balsami. Probabilmente l’artista la dipinge ispirato dal fatto che in quegli anni in cui risiedeva dai Gonzaga si attendeva con ansia che da Costantinopoli la reliquia giungesse a Mantova. La tradizione vuole che le venature bianche sulla pietra rossa siano dovute alle lacrime della Madonna. Accanto al cuscino si nota il vasetto degli oli.

8. Proust: colombe e serpenti
Proust amava molto Mantegna. Visitando il Louvre aveva modo di osservare diversi suoi capolavori, come il San Sebastiano. In riferimento alla capigliatura dei suoi personaggi, Proust diceva: “Ha l’ aria insieme di una nidiata di colombe, di una fascia di giacinti e di una treccia di serpenti”.

9. La statua in “giallo”: di chi è?
È di Mantegna? Secondo molti storici la risposta è sì. Nella concattedrale di Santa Maria Assunta ad Irsina, provincia di Matera, giace una scultura di Sant’Eufemia attribuita a Pietro Lombardo o ad Andrea Mantegna… le indagini proseguono.

Dürer, “grande fan”
Amava l’Italia e amava il genio padovano. Il tedesco Albrecht Dürer, nel suo secondo soggiorno italiano, a Venezia, viene a conoscenza della morte di Mantegna dalle cui opere ebbe profonda ispirazione tanto da affermare: “È il più grande dolore della mia vita non averlo conosciuto”.
